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La poesia dei contrasti

RECENSIONE A CURA DI Veronica Caciolli
(*Conservatrice presso il Museo MART di Rovereto, Critica d’arte e Curatrice di Mostre di Arte Contemporanea)

Ciò che spinge questa creativa a scattare fotografie è certamente la curiosità: poiché cogliere quello che sta fuori, significa capire un poco anche di noi stessi.

Raffaella Badalotti reagisce con le immagini alle “provocazioni” del continuo mutare del mondo. Seleziona quei dettagli che maggiormente colpiscono la sua sensibilità. Questi sono sottratti al loro divenire e impressi: nella memoria consapevole come in fotografie digitali. Raffaella Badalotti trascrive un dizionario iconico di fedele rielaborazione percettiva. Mantiene riconoscibile il dato reale di partenza, ma lo rappresenta poeticamente.

La realtà è esaltata nella sua molteplicità cromatica e formale. E le immagini risiedono in un territorio di confine: tra quello della fotografia, intesa come registrazione del reale, e quello della pittura, ambito di rappresentazione soggettiva. Ogni impressione è descritta e amplificata da tonalità di colori brillanti.

I soggetti naturali, attualmente tra i preferiti dalla Badalotti, si pongono come contesti in cui l’Io, oltre a scoprire il mondo, ritrova se stesso. Alla fine del Settecento, da una parte, il movimento dei “Romantici” era accomunato dal riconoscere principalmente nella natura le caratteristiche della psiche umana: tempestosa, volubile, chiusa, vivace, pacifica, selvaggia o rassicurante; spesso anche come simbolo di infinitezza che sovrasta l’uomo, che lo rende piccolo e vulnerabile.

Nell’esperienza dell’infinito tramite la natura, l’uomo può allora ricollocare se stesso all’interno del cosmo, dare un senso più ampio alla propria esistenza e negare temporaneamente l’idea di essere al centro di tutte le cose.La natura può essere anche madre accogliente, l’origine e la misura del nostro essere: scandisce cicli di eterno ritorno con le stagioni e afferma il ripetersi di nascita e morte, come nelle nostre vite.

Da un’altra parte, quasi un secolo più tardi, un gruppo di artisti definiti “Impressionisti” con spregio dalla critica, era di nuovo accomunato dalla centralità della natura come soggetto della propria pittura. Tra gli aspetti principali del movimento si riscontrava uno scarso interesse per le forme e una noncuranza verso i simboli evocativi naturali; ma un’analisi della luce vicina alla scienza. I celebri en plein air di questi pittori descrivevano le più complesse rifrazioni luminose del colore e la connotazione del soggetto passava in secondo piano rispetto allo studio degli effetti cromatici.

Certamente anche in fotografia abbiamo assistito a utilizzi della macchina fotografica a scopi pittorici, ad esempio con il “Pittorialismo”, che sul finire dell’Ottocento ha tentato di superare la “rigidità” propria del mezzo fotografico: fin dalle proprie origini nel 1839, la fotografia infatti non fu considerata una forma artistica in quanto troppo fedele al proprio referente, la realtà. Un’asserzione poi smentita sia da questo gruppo che da più di un secolo di arte e sperimentazione fotografica, tanto da decretarne nei recenti anni Novanta la sua totale esaltazione da parte del mercato, gettano in ombra la pittura, considerata obsoleta.

Con questi presupposti, un medesimo humus di focalizzazione sulla soggettività e sul colore colloca Raffaella Badalotti in un percorso secolare di storia dell’arte come dell’anima. Ciò che poi la identifica in una creativa contemporanea, è la mirata ricerca nel campo delle più avanzate tecnologie di elaborazione, stampa e supporto. L’innegabile raffinatezza tecnica delle immagini, non deve però trarre in inganno rispetto ai suoi scopi: la tecnologia infatti per Raffaella Badalotti, non è un fine ma un mezzo. E già nell’antica Grecia, si faceva una distinzione tra tecnica (techné) e arte (poiesis), ovvero, se l’abilità tecnica non si poneva come strumento di un’attività poetica, non era da considerarsi arte. Con le tonalità di un “Impressionismo Tecnologico”, questa mostra fa eco al “Fanciullino” di Giovanni Pascoli, costantemente capace di stupirsi di fronte allo spettacolo quotidiano dell’esistenza.  



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